Piangi,

se il tuo pianto

riporterà il sereno,

se i tuoi occhi

sapran riflettere l’arcobaleno

perchè nel viso

che si fa di cera

si van scolpendo

refoli di azzurro

e briciole

di sole.

Un freddo intenso

interminabile

che va scorrendo

dentro le vene,

un cielo buio

dove la luna

non ha più dimora,

un nodo in gola

che si va spezzando…

la notte.

La notte che incombe

pungente e oscura

ci fa pausa,

e il grigio crepuscolo

ora

a noi sembra un meriggio

ricolmo di luce.

D’intorno più nulla che canti,

più nulla che viva

o riluca,

soltanto una lunga

sfibrante agonia

ci aspetta stasera.

I miei occhi non sono

occhi che sorridono

son solo due profondi

solchi che vedono

cieli ormai incolori,

senza vita, grevi di nubi,

in un concerto di bianco e grigio…

Non è conforto sentirsi ciechi

all’alba di silenti mondi nuovi

i cui orizzonti s’allargano

oltre i confini del presente

ed hanno il bacio di mille arcobaleni…

Meglio sarebbe

fogliare con gli allori

e rinverdire con le quercie

provando, dopo ogni inverno,

l’ebbrezza della creazione,

che vivere così,

senza colore,

senza nessuno che dica una parola,

senza una voce che sussurri

piano: “… ti voglio bene…”

Sabato sera sugli argini

dell’Adige queto,

dove mi giungono ansando

di mille fanciulli

trepide attese di festa…

 

E’ un sabato sera qualunque,

e nell’aria

va piano nascendo, in silenzio,

un pulviscolo d’oro

presagio

di lunghi mattini di luce…

 

Raccolto nel grande foulard

della sera

c’è il sonno dei grandi,

la greve fatica degli uomini

grigi;

 

sospesi alla nebbia danzante

ci sono il mio cuore,

e i miei sogni,

che si fanno pian piano cullare

dall’aria un po’ triste

e accogliente

di un sabato sera qualunque…

Vivo con te

che giorno e notte

ti sai vestir di sole…

 

Vivo per te

che ogni alba

iridescente

ricopre di entusiasmi…

 

Vivo per te

per i tuoi occhi

timidi e lucenti,

per il tuo sguardo

che mi fascia e m’accarezza.